L’uomo di neve

Regia di Tomas Alfredson.
Un film con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Chloë Sevigny, Val Kilmer.
Titolo originale: The Snowman. Genere Drammatico
Gran Bretagna, 2017, durata 119 minuti.
Distribuito da Universal Pictures.

Sabato 21 ottobre, ore 21.00
Domenica 22 ottobre, ore 21.00
Martedì 24 ottobre, ore 21.00

Solo Martedì per TUTTI Biglietto € 4,00

Un ragazzo viene abbandonato da un padre violento e insensibile, mentre la madre si suicida: con lui resterà solo un pupazzo di neve, inquietante presagio di orrore e infelicità. Un poliziotto della Omicidi, celebre per i casi impossibili risolti con successo, riceve un messaggio scritto da un certo “uomo di neve”, che ha tutta l’aria di una minaccia incombente.
Capita spesso che le aspettative createsi attorno a un film siano tali da generare una delusione a visione avvenuta. Tuttavia accade assai di rado che la sproporzione tra attese e risultato raggiunga i livelli di L’uomo di neve di Tomas Alfredson.
Sulla carta la trasposizione dal best seller di Jo Nesbo sembrava avere tutto: un cast eccellente, tanto nei protagonisti che nei comprimari; un regista dal curriculum immacolato; un’ambientazione suggestiva. Nei fatti bastano pochi frame di un incipit destabilizzante per lasciar intendere che qualcosa non è andato per il verso giusto.

La macchina da presa sembra da subito incerta, priva di una guida salda: i molti primi piani e il montaggio enfatico sembrano suggerire una scelta stilistica, ma la qualità delle scene successive, come l’auto vista da dietro, lanciata a rotta di collo sul ghiaccio, o la morte della matrigna, desta sgomento. Uno sconforto che diviene certezza, man mano che la storia si dipana. Le difficoltà e i ripensamenti che hanno caratterizzato L’uomo di neve – la direzione in un primo momento era affidata a Martin Scorsese, poi a Morten Tyldum, prima di arrivare, diniego dopo diniego, ad Alfredson – emergono con la chiarezza cristallina di una sceneggiatura riscritta troppe volte, forse transitata da troppe mani. Alfredson, irriconoscibile, si adagia ben presto su una routine da mystery convenzionale, che abbandona il “come” per dedicarsi esclusivamente al “cosa”: a tenere desto l’interesse del giallista interiore, che alberga in ognuno di noi, rimane solo l’identità dell’assassino. Ma anche questa è intuibile con poco sforzo già a metà film: il profilo psicologico e le fattezze dell’assassino lasciano infatti pochi dubbi in merito, complice qualche inquadratura di troppo del killer di spalle.
Al di là del personaggio di Fassbender/Harry Hole, detective che – come recita il manuale del bravo investigatore da B movie – è impossibilitato a condurre una vita familiare serena, dipendente dall’alcol e solitario, nessun altro personaggio viene tratteggiato a sufficienza per creare una minima empatia con lo spettatore di L’uomo di neve. Questo nonostante la presenza di volti come Gainsbourg, Simmons, Kilmer e Sevigny, star che sembrano giunte sul set per caso, o perché accorse in seguito a una richiesta di soccorso, lanciata da un regista in difficoltà. Suggestivo il paesaggio norvegese, benché l’effetto cartolina sia costantemente dietro l’angolo, fino al sospirato epilogo in cui la vicenda cede definitivamente al farsesco involontario. Sotto i ghiacci de L’uomo di neve forse si nasconde il film che Alfredson voleva girare, ma quel che è emerso in superficie richiede ben più di una carota e dei chicchi di caffè per assumere fattezze umane.

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