L’ufficiale e la spia

Regia di Roman Polanski.
Un film Da vedere 2019 con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois, Hervé Pierre.
Titolo originale: J’accuse.
Genere Drammatico, Storico, Thriller, – USA, 2019, durata 126 minuti.
Distribuito da 01 Distribution, Mariposa Cinematografica e 30 Holding.
Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13

venerdì 27 marzo – ore 21.00
domenica 29 marzo – ore 18.00
lunedì 30 marzo – ore 21.00

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Gennaio del 1895, pochi mesi prima che i fratelli Lumière diano vita a quello che convenzionalmente chiamiamo Cinema, nel cortile dell’École Militaire di Parigi, Georges Picquart, un ufficiale dell’esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all’umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, un capitano ebreo, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Al disonore segue l’esilio e la sentenza condanna il traditore ad essere confinato sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese. Il caso sembra archiviato. Picquart guadagna la promozione a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ed è allora che si accorge che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato. Da uomo d’onore quale è si pone la giusta domanda: Dreyfus è davvero colpevole?

Roman Polanski mette le sue doti di Maestro del Cinema al servizio di una vicenda che, in tempi come quelli presenti, merita una rivisitazione.

Il cinema se ne era già occupato in passato. Sia con Emilio Zola di William Dieterle nel 1937 (film che colpì il giovanissimo Roman) e, successivamente, con L’affare Dreyfus di José Ferrer del 1957.Il film purtroppo ha innescato diverse polemiche scaturite dall’intervista che il regista ha rilasciato per il pressbook che ha accompagnato il film alla 76.ma Mostra del Cinema di Venezia. In quelle dichiarazioni Polanski dice di aver potuto comprendere meglio la storia che stava portando sullo schermo a causa delle accuse false che gli vengono periodicamente lanciate. Questo ha provocato reazioni di diversa natura che hanno rischiato di offuscare il valore intrinseco del film.

Perché L’Ufficiale e la Spia si colloca nella categoria delle opere di impianto classico che trovano la via del grande schermo nel momento storicamente giusto. È sicuramente vero che il regista e il suo co-sceneggiatore Robert Harris lavorano da anni su questa idea ma è ora che è indispensabile mostrare, con un film capace di arrivare al grande pubblico, come il Potere sia in grado di costruire falsificazioni capaci di resistere a lungo e di sconvolgere vite.
Viviamo in tempi in cui la memoria collettiva è quotidianamente insidiata da una valanga di news tra cui è sempre più difficile distinguere le vere dalle fake. Attraverso la persona di Picquart (magistralmente interpretato da Dujardin) Polanski ci ricorda come siano necessari uomini che siano capaci di andare al di là delle proprie convinzioni (il colonnello non amava gli ebrei) quando si trovano di fronte a un’ingiustizia che diviene tanto più palese quanto più chi la sta perpetrando fa muro perché non ne emergano le falsificazioni.

L’ingresso nella sede dei Servizi Segreti costituisce così la cifra stilistica del film. In spazi così cupi e privi di ‘aria’ (l’odore della fognatura li pervade) è facile che gli uomini si trasformino in tanti Capitano Henry che gli dichiara: “Voi mi ordinate di uccidere un uomo? Io lo faccio. Mi dite che è stato un errore? Mi dispiace ma non è colpa mia. Questo è l’Esercito” Picquart gli replica: “Questo sarà il suo Esercito. Non il mio”.

Polanski ci interroga sulla morale dei nostri tempi (che non riguarda solo uno specifico settore) e ci invita a vigilare. Forse non siamo più in tempi in cui un articolo di giornale può fare riaprire un processo come accadde con il “J’accuse” di Emile Zola pubblicato su “L’Aurore” ma forse proprio per questo è necessario saper reagire a quella sorta di impermeabilizzazione agli scandali che rischia di produrre un appiattimento dell’opinione pubblica che finisce con il lasciare spazio al morbo dell’indifferenza diffusa. Ricordare ciò che accadde allora può trasformarsi in un monito prezioso.

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