La macchina delle immagini di Alfredo C.

Regia di Roland Sejko.
Un film con Pietro De Silva.
Genere Documentario, – Italia, 2021, durata 76 minuti.
Distribuito da Istituto Luce.
Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13

Venerdì 19 maggio, ore 21.00
Domenica 21 maggio, ore 18.00
Lunedì 22 maggio, ore 21.00

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Dopo l’occupazione italiana dell’Albania, il 7 aprile 1939, molti coloni italiani si trasferiscono a lavorare nel Paese. Quando la Germania prende il controllo del Paese (8 settembre 1943) i militari fuggono in montagna e gli italiani sono costretti a lavorare per i tedeschi. Infine, con la liberazione (28 novembre 1944) il regime comunista trattiene alcuni connazionali, tra cui un operatore cinematografico per l’Istituto Luce: Alfredo C. Dopo questi dati, sinteticamente riassunti dalle didascalie iniziali, Sejko rimette in scena quell’operatore (interpretato dall’attore Pietro De Silva) e lo fa muovere all’interno di un deposito di pellicole. Qui ripristina una vecchia moviola, riassembla un proiettore e riporta letteralmente alla luce le preziose immagini raccolte tra il ’39 e il ’43.

Direttore editoriale dell’Archivio storico Luce, curatore del MIAC (Museo Italiano del Cinema e dell’Audiovisivo di Cinecittà), Roland Sejko, nato e cresciuto in Albania, Premio David di Donatello con Anija – La nave (2012), ha scoperto la storia di Alfredo C. facendo ricerche nell’Archivio Centrale di Albania.

Testimone di fatti storici e di svariati eventi di propaganda politica legati sia al regime fascista che a quello successivo, comunista, la voce extra diegetica di Alfredo C. diventa il passe-partout per riflettere sul senso e l’uso delle immagini, la responsabilità di chi filma e di chi le legge. “Ridare movimento al fotogramma” per riscoprirne i significati è l’intenzione che muove La macchina delle immagini, che è al tempo stesso anche raro documento di storia del cinema pre digitale, per quanto è specifico nell’inquadrare e raccontarne la natura analogica, la meccanicità.

A partire dal rumore della manovella per andare ai nomi evocativi delle parti che compongono gli strumenti e rendono possibile la proiezione: rocchetto trascinatore, rullo dentato, specchietto di messa a fuoco, lanterna, ovvero lo strumento che permette la magia dei 24 fotogrammi al secondo (la cinepresa 35 mm Parvo Debrie, brevettata nel 1908, è parte della collezione museale di Cinecittà si mostra).

Ma il vero focus è una delle intuizioni del MinCulPop fascista (e nazista, come dimostrano Trionfo della volontà o Olympia di Leni Riefenstahl), ovvero “la cinematografia è l’arma più forte”, come si legge sotto un’imponente immagine che riproduce Benito Mussolini in una delle tante parate riprese dall’operatore.

Gli esempi di forzatura del punto di vista e di manipolazione sono molti. Il più clamoroso è il doppio passaggio delle navi per la visita di Hitler a Napoli, ma il narratore porta di continuo l’attenzione di chi guarda con occhi nuovi quelle riprese istituzionali ad aspetti poco considerati, come il potere dell’obiettivo su chi è ripreso, la posizione della macchina da presa rispetto all’evento, l’illuminazione, il ruolo delle masse, che siano effettive o ricreate ad hoc in un teatro di Cinecittà. Fino alla costruzione delle città in funzione delle riprese di comizi, adunate, feste.

Unico limite, la densità del pervasivo commento in voce over; per il resto, un interessante esercizio di riuso filmico, affine alla ricerca, in tempi recenti, di Sergei Loznitsa.

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