Il potere del cane

Regia di Jane Campion.
Un film Da vedere 2021 con Benedict Cumberbatch, Genevieve Lemon, Jesse Plemons, Kodi Smit-McPhee, Ken Radley.
Titolo originale: The Power of the Dog.
Genere Drammatico, – Nuova Zelanda, Australia, 2021, durata 125 minuti.
Distribuito da Lucky Red.
Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13

Venerdì 29 Aprile ore 21.00
Domenica 1 Maggio ore 18.00
Lunedì 2 Maggio ore 21.00

Si ricorda che, dal 25 dicembre, per accedere alla visione dei film in sala è necessario il green pass rafforzato, richiesto ed obbligatorio, e di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2

Montana, 1925. I fratelli Burbanks, Phil e George, sono gli eredi di un grande ranch di famiglia, che mandano avanti occupandosi quotidianamente dello spostamento mandrie, dell’essicazione delle pelli e dell’addestramento degli uomini di fatica. Mentre George è un uomo sensibile e desidera una famiglia, Phil è un bullo patentato e omofobo, ossessionato dal mito del suo mentore Bronco Henri. Quando George prende in sposa la giovane vedova Rose e la porta al ranch, Phil prende di mira la donna e suo figlio Peter e non smette di tormentarli.

Del romanzo di Thomas Savage, pubblicato la prima volta alla fine degli anni Sessanta, la Campion restituisce appieno i principali elementi naturali: l’effetto immersivo, amplificato dal mezzo cinematografico, e l’elemento dell’isolamento, che è in ogni piega del racconto e dei personaggi, e che assume visivamente una concretezza quasi palpabile.

Nella sua Nuova Zelanda la regista trova l’America rocciosa e occidentale della metà degli anni Venti, in una valle sterminata e deserta, in cui lo sguardo può spaziare a trencentosessanta gradi (eppure bisogna avere qualcosa di speciale in esso per cogliere il profilo del cane con la mascella aperta nel grande massiccio che funge da fondale al palcoscenico del ranch e da finale di percorso).

Agli interpreti principali, invece, tocca il compito di tenere insieme ed esprimere, col corpo prima che con le parole, la psicologia travagliata di tre personaggi tragicamente imprigionati in un ruolo, un’epoca, un genere. E se il rumoroso, puzzolente, tossico Phil di Cumberbatch è il più centrale del gruppo e nell’inquadratura, manifesto troppo facile della regola per cui le persone che sono state danneggiate non possono che a loro volta danneggiare, è al modo in cui Kristen Dunst amplifica la piccola Rose del romanzo facendone un’icona di malinconia che guardiamo più volentieri, così come alla delicatezza del personaggio di George (Jesse Plemons), che con pudore e timore non guarda ciò che non vuol vedere.

È un peccato allora che il film stenti ad arrivare al punto; che lo sguardo della Campion, che rende sensuale ogni cosa su cui si posa, resti bloccato su immagini già note, figure poco figurate (la castrazione di massa degli animali, il branco), attese che girano su loro stesse, non sufficientemente ricompensate dal colpo di coda del finale. La sua incursione sulla brokeback mountain si ferma a un passo dalla cima, lasciandoci il desiderio del panorama che avremmo potuto vedere e non abbiamo visto.

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