Il cattivo poeta

Regia di Gianluca Jodice.
Un film Da vedere 2021 con Sergio Castellitto, Francesco Patané, Tommaso Ragno, Clotilde Courau, Fausto Russo Alesi.
Genere Biografico, – Italia, 2021, durata 106 minuti.
Distribuito da 01 Distribution.
Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13

Venerdì 28 maggio ore 20.30
Sabato 29 maggio ore 20.30
Domenica 30 maggio ore 18.00 e 20.30
Lunedì 31 maggio ore 20.30
Martedì 01 giugno ore 20.30
Mercoledì 02 giugno ore 20.30

Solo il martedì ingresso per tutti a 4€

Primavera del 1936. Al giovane federale Giovanni Comini, di stanza a Brescia, viene assegnato dal Segretario del Partito Fascista Achille Starace l’incarico di sorvegliare Gabriele D’Annunzio, da 15 anni rinchiuso nel Vittoriale, per raccogliere su di lui informazioni di ogni tipo. D’Annunzio si è dichiarato contrario all’imminente alleanza fra Mussolini e Hitler, che il poeta definisce un “ridicolo nibelungo”, e il Partito non tollera il suo dissenso. Comini si reca al Vittoriale e da lì manda alla Casa del Fascio regolari rapporti su ogni attività del Poeta Vate, comprese quelle sessuali. Ma il suo legame con D’Annunzio cresce, e il dubbio sull’operato del Fascismo comincia ad insinuarsi anche nel convintissimo federale.

Gianluca Jodice esordisce alla regia del lungometraggio con Il cattivo poeta, del quale firma anche soggetto e sceneggiatura, utilizzando per i dialoghi di D’Annunzio solo le sue parole scritte o pronunciate in pubblico, e costruendo una storia volutamente inattuale che però ha evidenti ricadute anche sul presente.

La forma è convenzionale e antica, virata nei colori seppia, blu e grigio pietra, a volte squarciati dai verdi intensi dell’arredamento del Vittoriale all’interno del quale è stata girata parte del film. Gli ambienti sono importanti, soprattutto quelle architetture fasciste che giganteggiano su uomini ridotti a figurine. Anche il Duce, secondo una scelta registica molto azzeccata, è poco più che una sagoma del potere cui D’Annunzio, nella scena più bella del film, sussurra inascoltato il suo “memento mori”.

L’impianto teatrale (molti attori del film provengono dal teatro, altra scelta di spessore) è evidente, ma in qualche modo necessario per raccontare una parabola archetipica sul potere e la libertà di pensiero. D’Annunzio, pur senza mai rinnegare la sua affiliazione fascista, è un ingestibile che non può fare a meno di parlare per sé, ed è questa la sua condanna. La grande popolarità ottenuta con “l’impresa di Fiume” ha smesso di portare acqua al mulino del Partito, e ora è un uomo solo con i suoi fantasmi e i suoi decori decadenti.

Comini, ben interpretato da Francesco Patanè, è poco più che una cartina di tornasole che consente al Poeta Vate di giganteggiare al suo fianco (e a fianco dei tanti “topi” che infestano la sua casa), ma Sergio Castellitto rifugge la tentazione di gigioneggiare e sceglie una strada sobria ed essenziale, una cifra ironica e dolente perfetta per questo D’Annunzio crepuscolare e (quasi) rassegnato. La sua è un’interpretazione monumentale concentrata in poche scene, tanto che si vorrebbe che il film lasciasse più spazio alla sua storia e meno a quella, obiettivamente meno interessante, del giovane protagonista.

C’è una grande cura formale nelle scenografie e i costumi, una grande eleganza nelle inquadrature simmetriche entro le quali i personaggi si muovono attenti a non turbare l’ordine che li circonda (tutti tranne il poeta, che invece sbuca da ogni dove, sparigliando le carte). È un mondo asfittico che spinge alla delazione (come il Cile di Tony Manero) e reprime tanto i sentimenti quanto gli ideali. Ma c’è anche un’attenzione specifica a colorare quella struttura composta di qualcosa di malato e delirante, come già nel Vincere di Marco Bellocchio.

“Tu sarai testimone della mia veggenza”, dice il poeta al federale, ed è proprio la sua capacità visionaria che Jodice veicola attraverso una rigidità formale che sa di vecchio e polveroso, e invece rinnova il linguaggio cinematografico dal di dentro, come un cavallo di Troia. Il cattivo poeta diventa un elogio alla disobbedienza, i suoi dialoghi letterari si fanno metafore di un mondo in cui la parola aveva un peso e un’importanza che oggi non ha più: soprattutto la parola politica, che già secondo D’Annunzio era “il tradimento degli ideali, della passione autentica”.

Il cattivo poeta ci ricorda di diffidare di chi “ha bisogno di un balcone” in questi “tempi da cielo chiuso”, e mette a confronto la vitalità distorta e trasgressiva di un peccatore con la morte del pensiero autonomo e della volontà di agire secondo le proprie personali convinzioni.

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